venerdì 25 febbraio 2011

Miryam, il prologo della lettera Aleph

Ora che Miryam ha ormai iniziato il suo viaggio, mi fa piacere pubblicare qui il prologo con cui si apre il romanzo.











Sono la lettera Aleph, la prima lettera dell’alfabeto ebraico. Tocca a me il principio di questa storia e non mi tirerò indietro. Una volta lo feci, pensando che il compito fosse troppo gravoso ed ebbi ragione.
Fu quando Dio, benedetto sia il suo nome, si accinse a creare il mondo con la sua parola. Allora tutte noi, le lettere dell’alfabeto, scendemmo dalla sua corona dove eravamo state incise con una penna di fiamma ardente. Anch’io scesi, ma mentre le altre facevano a gara per essere scelte e diventare così la prima lettera che Dio avrebbe dovuto pronunciare dando vita al mondo, io me ne restai in disparte a osservare.
Potevo sentirle implorare, una dopo l’altra:
– Crea il mondo servendoti di me!
– Inizia con me!
– Guarda come sono bella!
Le mie sorelle vorticavano intorno a Dio e splendendo di luce ripetevano le loro importune richieste.
Dio esaminò ogni cosa ma le lettere, una dopo l’altra, vennero scartate finché fu scelta la Beth. La favorita sfavillò come un tizzone acceso.
Tuttavia, a Dio non era sfuggita la mia modestia e disse:
– Dato che tu, Aleph, non hai avanzato pretese, Io ti ricompenserò. Sarai tu la prima lettera delle Tavole del Patto che darò al mio servo Mosè.
Questo accadde prima della creazione del mondo, quando ancora non c’erano né le Tavole, né il deserto, né il mar Rosso, né l’Egitto, né Mosè.
C’era solo il tohu wa bohu, la terra informe e vuota, il nulla e il caos. Ma Dio, benedetto sia il suo nome, vede attraverso il tempo e sa. Conosce ogni cosa. E, prima ancora che il mondo fosse, sapeva che un giorno avrebbe avuto un popolo, che questo sarebbe stato oppresso in terra d’Egitto, che avrebbe dovuto far sorgere Mosè il liberatore per condurre il suo popolo nel deserto e che lì, sulla pietra delle Tavole del Patto, il suo dito avrebbe scritto le Dieci Parole. E per farlo avrebbe avuto bisogno di me, dell’Aleph come prima lettera.
Dio è l’Eterno, al suo sguardo fiammeggiante il tempo si scioglie come cera, si fa liquido, scorre via.
Il Nome, il nome impronunciabile di Dio, è formato da quattro lettere che combinate tra loro possono formare le parole hayà, hovè, ihieè: era, è, sarà.
Così è Dio: era prima del principio, è presente in ogni istante e sarà oltre il tempo.
E Dio, prima ancora che il mondo fosse, sapeva che un giorno avrebbe dovuto scegliersi un popolo per mostrare alle nazioni cosa fosse davvero Dio, Dio, e non gli idoli di legno, ferro e oro, quegli idoli ciechi, muti e sordi alle richieste degli uomini.
Così Dio, quando fu il tempo opportuno, andò dai popoli della terra e chiese loro, uno ad uno:
– Vuoi essere il mio popolo? Se tu sarai il mio popolo, Io sarò il tuo Dio.
Ma uno dopo l’altro, rifiutarono. Troppo gravosa la fedeltà a un unico Dio, troppo pura una fede senza immagini e statue davanti alle quali inginocchiarsi. Uno a uno rifiutarono l’Alleanza. Così Dio bussò al popolo d’Israele, l’ultimo rimasto, un non-popolo, un popolo raccogliticcio e povero che viveva in terra straniera, in Egitto. Israele accettò.

Alla stessa maniera, prima della fondazione del mondo, Dio sapeva che un giorno avrebbe dovuto scegliere una ragazzina in mezzo al suo popolo. Non più che una bambina. Sì, prima che tutto avesse inizio, Dio sapeva già che un giorno si sarebbe chinato su una bambina, le avrebbe rivolto una domanda e avrebbe dovuto attendere la sua risposta.
Perché se è vero che Dio, benedetto sia il suo nome, può tutto e conosce ogni cosa, è vero anche che Dio ha creato gli uomini liberi. Potrebbe travolgere il mondo, scrollare gli uomini dalla faccia della terra come briciole da un tavolo, rovesciarlo come un guanto, far tornare tutto nel tohu wa bohu, creare da capo un altro mondo meno imperfetto e malvagio.
Invece Dio ha voluto che gli uomini fossero creature libere. Lui che è in ogni luogo, ha lasciato loro uno spazio inviolabile. Una piccola sfera in mezzo al cuore, una cavità, una porta. Dove nessuno può entrare. Lì ogni uomo decide per se stesso. E Dio bussa, chiede, domanda. E sulla soglia attende una risposta.


Io, Aleph, dico che questa storia inizia.

lunedì 21 febbraio 2011

Miryam


In breve, ecco come è nata l'idea di Miryam...

Stavo lavorando a un altro libro su Maria (un libro per bambini della collana I pittori raccontano) quando mi sono imbattuta in alcune immagini d'arte che mi hanno molto colpita. Una era questa.




Maria con un bambino in braccio... solo che il bambino non è Gesù, ma Giovanni. Ecco infatti Elisabetta ancora distesa.

(autore: Defendente Ferrari)

Nel Vangelo leggiamo l'episodio della visitazione a Elisabetta e sappiamo che Maria si trattenne da lei per tre mesi. Poi la narrazione prosegue con la nascita del Battista ma senza più nominare Maria. Alcuni pittori però immaginano la scena. Maria, prima di essere madre, assiste a una nascita.
Poco prima di conoscere il proprio bambino, Maria stringe questo neonato, primogenito di Zaccaria. Fu proprio la notizia che Elisabetta, sterile, aspettava un figlio a farla partire... La nascita stessa di Giovanni infatti è misteriosa e Zaccaria, l'unico che potrebbe spiegare, è muto a causa di una visione avuta nel Tempio. Maria, giorno per giorno, fino alla nascita di Giovanni assiste al realizzarsi dell'annuncio che ha ricevuto. Intanto cerca risposte, approfondisce il solco che la separa da tutti e nello stesso tempo è pienamente dentro la vita del suo popolo, dentro la carne.
Ecco qui Zaccaria, a piedi del letto, scrivere il nome del figlio così come lo aveva sentito nella sua visione al Tempio.

(autore: Anonimo fiorentino)

Sono partita da questo...Poi sono andata a ritroso e mi sono spinta in avanti. Ma più di tutto mi attraeva questo tempo così segreto e sospeso, pieno di domande... Quando Maria tornerà a Nazaret, tutto cambierà.

giovedì 17 febbraio 2011

Miryam


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L'Eco di Bergamo


L'Ora del Salento


lunedì 7 febbraio 2011

"Pane di vita" su Andersen





Giornata di sole, lago azzurro primavera, pranzo veloce prima di rimettersi al lavoro. Nella cassetta della posta troviamo Andersen di questo mese e ci attardiamo un po' a sfogliarlo. C'è il nostro Pane di vita. E' il quarto volume della collana I pittori raccontano (San Paolo Edizioni), un progetto a cui teniamo particolarmente. Una sorpresa che ci ha fatto proprio contenti.
Grazie ad Anselmo Roveda per la sua attenta lettura.